Nel nuovo episodio The Handmaid’s Tale continua a prendere i propri tempi trascurando l’evoluzione della storia. Basta questo per condurre lo spettatore all’epilogo della terza stagione?
Dopo un’ottava puntata che lasciava ancora molti dubbi sulla continuazione della stagione, The Handmaid’s Tale non sembra voler cambiare marcia. Nel nuovo episodio della terza stagione si intravedono ancora i tratti caratteristici dello show. Sembra, tuttavia, completamente mancare l’intenzione di portare in scena qualcosa di davvero nuovo. Il futuro di Gilead, allora, risulta ancora criptico agli occhi dello spettatore.
Il nuovo episodio di The Handmaid’s Tale mette in pausa ogni questione che coinvolge attori al di fuori dei confini di Gilead. Le vicende canadesi e i drammi dei Waterford, quindi, si fermano e prendono un po’ di ossigeno in vista delle ultime due puntate. L’attenzione si sposta, allora, su June (Elisabeth Moss), assoluta protagonista in questo episodio completamente ambientato in un unico luogo. La camera, infatti, si muove tra le stanze asettiche dell’ospedale dove è ricoverata Ofmatthew, la compagna di passeggiate di June, dopo il folle gesto alla fine dello scorso episodio. Per June, costretta ad osservare da vicino la ragazza in stato vegetale, è l’inizio di un percorso innanzitutto a livello psicologico. La rabbia, ormai, non può essere più contenuta.
Ad ogni episodio è facile ripetersi. Dopotutto, è normale: la qualità a livello tecnico-visivo di The Handmaid’s Tale è indiscutibile. Una fotografia elegante e curata, anche questa settimana, inquadra i movimenti pronti ad esplodere di June. Il rosso dei suoi abiti, allora, ben si staglia sul freddo e vuoto bianco delle stanze d’ospedale che, dopo un primo sguardo, nascondono storie ben più cupe di quanto potrebbe sembrare. Queste scelte consolidano una confezione affascinante ed elegante ma questo non può valere come scusante per le mancanze dal lato dei contenuti. Questa puntata vorrebbe essere una forte riflessione sulla rabbia di June, sulla sua ira pronta ad esplodere contro il sistema di Gilead. L’intenzione di partenza è buona con i lunghi monologhi dei pensieri della ragazza. Tuttavia, l’intera storia continua a risultare troppo, davvero troppo statica e immobile.
The Handmaid’s Tale non è mai stato uno show basato su adrenalina o dinamismo. Tuttavia, un giusto e confortante equilibrio è indispensabile per mantenere una buona qualità. La serie TV invece sembra ancora accontentarsi delle insistenti riprese di sofferenze e torture soprattutto psicologiche. Queste scelte possono essere giustificate come introduzione per preparare il terreno alla storia. Il problema, tuttavia, è che la storia non sembra proprio volersi mettere in moto. Il prossimo episodio riuscirà ad accontentare un pubblico sempre più esigente?
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